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L’identità è un valore: ma il packaging che ci azzecca?

identità packaging
I processi aggregativi della produzione ortofrutticola sono una costante priorità. Oltre all’aggregazione che è una necessità della produzione, il consumatore chiede perché comprare ortofrutta e quale scegliere. Comunicare la propria identità è premessa di connessione e scelta. Il packaging può aiutare?

Inutile ricordare la contingenza del momento di difficoltà che sta vivendo l’agricoltura e l’ortofrutticoltura italiana in particolare. Con sempre maggiore frequenza una novità negativa si palesa e si abbatte sul reddito degli agricoltori. Dalle guerre che chiudono mercati di sbocco, alle pandemie che ribaltano le abitudini di consumo, dalla pressione sui prezzi che schiaccia la produzione alla UE che si immagina regolamenti lineari che hanno impatti diversi nei singoli paesi, dalle sigle di rappresentanza in competizione tra loro piuttosto che a difesa strategica degli agricoltori, a rapporti di filiera sempre più tesi e conflittuali. Il tutto produce uno schiacciamento progressivo dei margini alla produzione che sembra senza soluzione di continuità, da cui le proteste e i trattori nelle strade.

La ricetta diffusa per uscirne è l’aggregazione. Lo dicono da sempre i vertici della Gdo che necessitano di fornitori strutturati in grado di garantire qualità standard e continuità di fornitura. Lo si sostiene nei convegni, da sempre, da quando c’era la lira. Ma poco è cambiato, nonostante i 23 anni dall’adozione dell’euro. Forse quindi contarci troppo – anche se passi in questa direzione ne sono stati certamente fatti – non conviene. Lo invoca Maurizio Gardini, presidente di Conserve Italia, che sulle colonne del Corriere Fiorentino di pochi giorni fa sostiene che, al di là della forma aggregativa suggerita evidentemente di parte, “gli agricoltori dovrebbero mettersi insieme. Così si adegua l’offerta alla domanda. L’aggregazione dell’offerta di prodotto dovrebbe avvenire attraverso il modello cooperativo: mettere insieme tanti piccoli per dare loro un più forte potere contrattuale”. Osservo che, così impostato, sembra ci si concentri solo sull’aggregazione dell’offerta, che pur auspicata e in progressiva crescita, difficilmente riuscirà da sola a raggiungere l’obiettivo di poter incidere sul mercato e a spuntare un riequilibrio dei prezzi a proprio vantaggio. Ci riescono solo a volte i monopolisti normativi o i grandi brand che parlano direttamente al consumatore, oggi molto più libero e indipendente, e quindi più forte di prima grazie agli evidenti processi di disintermediazione commerciale.

Difficile immaginare ci riesca l’ortofrutta italiana a breve. Quindi forse per questo l’aggregazione, che serve, da sola non basta. Per far crescere il peso dell’offerta occorre renderne percepiti valore e capacità di mantenimento della promessa direttamente a chi sceglie, oggi in maniera sempre più disintermediata. Il successo di un prodotto lo certifica il consumatore al di là di tutte le attività push e pull, così come il prezzo agli agricoltori non si ottiene per decreto. Al consumatore occorre parlare sempre di più con la consapevolezza che il trade è un intermediario con cui collaborare piuttosto che confliggere, trovando e costruendo le occasioni migliori.

Massimiliano Del Core, nella sua risposta recente sulle attività dell’OI al professor Giacomini sul Corriere Ortofrutticolo, evidenzia l’importanza di una “promozione pre-competitiva al consumo di ortofrutta”. A mio avviso il vero tema non è solo aggregarsi, ma trovare formule di collaborazione per rivolgersi al consumatore e ingaggiarlo con più efficacia. La mancanza di una aggregazione sufficiente non può essere il discrimine. Credo al contrario che attorno a progetti funzionali ed efficaci che hanno l’obiettivo di migliorare il percepito dell’ortofrutta l’aggregazione possa essere la naturale conseguenza. Per farlo servono idee che valorizzino e comunichino l’identità della produzione e del prodotto, perché è la coerenza con quest’ultima che motiva la scelta. D’altronde scegliamo l’ortofrutta per convenienza, ma anche per fedeltà, abitudine e gusto. E l’identità può andare a braccetto sia con l’aggregazione – crescono i progetti trasversali di prodotto condivisi da diverse aziende – che con progetti di filiera – si pensi alla profondità crescente dei corner dedicati al vino con etichette di livello in Gdo. Se così è, mai allora rinunciare alla propria identità, a comunicare chi si è, a farsi riconoscere, a raccontare il proprio brand e la propria storia, anzi! Per tutto questo ci sono le confezioni!

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