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Se non ci fosse (quella innovazione) bisognerebbe inventarla (o meglio quanto ci costerebbe se non ci fosse)

In periodi di costi alle stelle, la difesa dei margini passa anche attraverso i processi di standardizzazione ed efficientamento, prima assenti e oggi completamente diffusi. È il ruolo dell’innovazione nella logistica per ortofrutta dello standard Bestack

Il progresso tecnologico è fatto di continui salti in avanti che cambiano di fatto il contesto in cui esso viene applicato. Rivoluzioni che quando si progettano a qualcuno apparirono avveniristiche, superflue, addirittura inutili se non dannose, ma che nel tempo, nei fatti, risultano poi prima rivoluzionarie, poi a caduta utili, consolidate, scontate, fino ad essere imprescindibili. Qualcuno direbbe “mai più senza”.

L’introduzione di queste rivoluzioni, che ne precede poi la diffusione, è propria del ciclo di ogni prodotto, fatto di complessità, diffidenza e contrasti, specie poi se parliamo di utilità e impatti pubblici.

Ognuno di noi ha certamente in testa qualche esempio figlio del suo specifico interesse, abitudine o utilizzo. Certamente ci sono innovazioni tecnologiche che hanno semplificato il mondo e in alcuni casi rendendolo anche più semplice e veloce. È il caso della scrittura dei documenti, oppure dell’invio e della condivisione dei documenti stessi. Prima era tutto meccanico, per poi via via passare in formato elettronico. La personalizzazione e la portabilità delle connessioni telefoniche e internet ci ha reso perennemente raggiungibili con infiniti effetti a catena. Sul lavoro si ha certamente maggiore reattività, la presenza in fisico può essere talvolta non fondamentale, a maggior ragione dopo poi la diffusione dello smart working, delle innumerevoli piattaforme di interscambio video arrivate con la necessità della gestione pandemica ancor di più. Per lo stesso motivo si è avuto un impatto su trasporti: si viaggia di più in assoluto, ma più per gusto che per lavoro, e si assiste a una redistribuzione sulle aree periferiche del Paese della popolazione meno metropolicentrica. Per questo motivo ci sono ripercussioni sui servizi che devono tenere conto del migrare di residenze e domicili, si pensi alla necessità di connessione su tutto il territorio, sui servizi sanitari, sugli strumenti di comunicazione, oggi meno generalisti e più personalizzati e targettizzati.

Innovazioni oggi imprescindibili, di cui siamo consapevoli e di cui a fatica potremmo fare senza, nel caso certamente dovendo sostenere maggiori costi. Alcune innovazioni sono talmente impattanti per beneficio che non si ha la dimensione del costo, non ce la si pone neanche.

Per esempio il costo totale per l’alta velocità italiana ammonta a 41,9 miliardi di euro per 1.280 chilometri di linea, un numero certamente enorme, ma con quali benefici? Secondo i numeri contenuti nel rapporto di Legambiente Pendolaria 2021, si è passati dai 6,5 milioni passeggeri sui treni alta velocità di Trenitalia del 2008 ai 40 milioni del 2019, con un balzo in avanti del 515%. Dal punto di vista delle emissioni la stima parla di un contenimento di circa 740 mila tonnellate di Co2 immesse in meno, pari alle emissioni di oltre 522 mila auto all’anno tenendo conto della percorrenza media che plasticamente messe in fila formano una coda di oltre 2000 km, per capirci tanto quanto Milano-Brindisi e ritorno. Se poi consideriamo il tempo a bordo di un treno ad alta velocità, nettamente superiore alla velocità media in autostrada, oltre al valore del tempo in treno in cui si può fare altro, parliamo di 6 milioni di ore risparmiate equivalenti all’attività annua di 3.750 persone. Numeri che crescono del 30% considerando anche i passeggeri trasportati da NTV. Senza poi contare il risparmio in termine di costo al km, ben 27 volte superiore quella del treno rispetto all’auto (https://blog.italotreno.it/mondo-treno/quanto-consuma-un-treno-ad-alta-velocita/ )

Ci sono poi innovazioni che sono meno percepite dal consumo, ma che hanno altrettanti effetti nelle vite quotidiane, tecnologia che oggi c’è, su cui forse non abbiamo riflettuto, di cui non ricordiamo l’introduzione, ma che ci semplificano il quotidiano: come il codice a barre che consente lo scanning alle casse dei prodotti, così come tutti i sistemi di identificazione e lettura per la movimentazione in magazzino.

Ho pensato a tutto questo perché anche per quanto ci riguarda a volte diamo elementi per scontati non pensando a quali ripercussioni ci sarebbero, con maggiori costi, se non ci fossero le innovazioni che nel tempo abbiamo introdotto.

Senza che il mercato ce lo chiedesse, e in alcuni casi anche che se ne sia accorto, dal 2008 abbiamo introdotto uno standard logistico per l’imballaggio in cartone ondulato per ortofrutta, per i tre formati impiegati 60×40, 50×30 e 40×30, perfetto sottomultiplo dell’Europallet e di quello convenzionale, con misure di base e modalità di incastro definite. Semplice a dirsi, oneroso per le imprese e senza costi aggiuntivi per i clienti a farsi. Una stima di circa 7.000 fustelle cambiate e oltre 22.000 impianti stampa a carico della produzione. Motivo? Semplificare la logistica negli oltre 100 Cedi della GDO e nei mercati alimentari all’ingrosso e la movimentazione di oltre 32 milioni di pallet di ortofrutta all’anno. Oggi siamo ad una diffusione di oltre l’85% sul mercato e se questo standard non ci fosse sarebbe tutto più complesso, rischioso e oneroso.

Dimensioni identiche, sistemi di incastro standardizzate (indipendentemente dal fornitore di scatole e dal produttore di ortofrutta) e imballaggi certificati nelle prestazioni significano pallet resistenti, semplici da movimentare e ventilare in piattaforma, riduzione degli sfridi, delle contestazioni e degli sprechi con benefici economici per tutti, anche se, apparentemente, non si vedono.

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