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Ok il prezzo (non) è giusto

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Piccola riflessione sulla serie storica dei prezzi in export dell’ortofrutta italiana. Se abbiamo perso attrattività come si può recuperarla anche attraverso le confezioni?

75 anni di storia raccontati in poche slide dai protagonisti dell’import-export di frutta e verdura italiana.
Questa è stata la relazione di Marco Salvi – neo rieletto presidente di Fruitimprese per il quinto mandato
consecutivo – nel corso dell’ultima assemblea del 2024. Una storia nata nel 1953 e arrivata ai giorni nostri
ripercorsa nel quadro storico e di settore e sintetizzata in pochi numeri per ciascun decennio.

E così se nel 1953 si esportavano dall’Italia circa 1,74 milioni di tonnellate tra frutta e verdura, nel 2023 il dato è
raddoppiato arrivando a 3,48 milioni, in leggera flessione rispetto ai 3,7 milioni esportati nel 2013. A
valore, parametrando i valori al costo odierno della vita, così come indicato dall’ufficio studi di Fruitimprese, si è passati invece dai 5,03 miliardi di euro equivalenti del 1953 ai 5,78 del 2023, in costante ripresa da quattro decenni.

Se questi sono i numeri a volume e a valore, i calcoli sull’andamento del prezzo medio di vendita sono presto fatti. Nel 1953 esportavamo l’ortofrutta italiana a 2,90 euro al kg parametrati ad oggi contro 1,66 euro al kg del 2023, se non un tonfo un bello scivolone. I motivi sono tanti, diversi e ben conosciuti: più competitività sui mercati internazionali, scarsa aggregazione specie in confronto con la Spagna, che nel frattempo a volume ci ha superato valendo oggi quasi quattro volte l’export italiano, problematiche logistiche, lentezza dell’apertura dei dossier sui nuovi mercati, l’ingresso nella moneta unica e la perdita della svalutazione monetaria in export quale strumento di rafforzamento competitivo sui prezzi, la chiusura di alcuni mercati per le tensioni geopolitiche internazionali fino alle più recenti avversità agronomiche e meteorologiche.

È certamente un fatto che il prezzo medio di vendita a parametri costanti sia calato, ma ciò che più interessa è capire come sia variato in confronto al contesto economico del paese e soprattutto rispetto ad altre categorie di prodotto. Secondo l’analisi storica di cronologiaeconomica.it, dal 1950 ad oggi gli stipendi sono cresciuti nominalmente circa 77 volte – è il caso di un operaio passato dalle 30.000 lire mensili di allora ai 1.200 euro di oggi.

Con la stessa logica il costo dei quotidiani è cresciuto 164 volte, il caffè 96, il pane 92 così come il costo di uno scooter di 85, mentre la frutta solo di 36 volte e la verdura di 46, ben al di sotto della crescita nominale degli stipendi, da cui la logica conseguenza della perdita di attrattività e di valore che la domanda riconosce al nostro settore. Solo il prezzo della pasta, il cui valore medio è certamente puramente indicativo per l’elevata variabilità dei prezzi dei diversi prodotti tra loro profondamente segmentati, cresce con un moltiplicatore inferiore pari a 27 volte, condizionato per altro dell’ingresso e dal peso crescente sul mercato dei discount con le proprie marche commerciali di primissimo prezzo.

Si tratta di fatto per l’ortofrutta di un tema di costruzione di valore e di attrattività, quindi come riuscirci?
A tal proposito riporto due esempi, in ambito alimentare, che potrebbero essere di utilità. In prima battuta il mercato dei salumi, oggi equamente diviso a volume tra peso variabile con il prodotto affettato al banco e a peso imposto fatto di prodotto a corpo da tagliare e pre tagliato in vaschetta, che nel 2023 è cresciuto sia a valore +6,7% , facilmente comprensibile per la molla inflattiva, ma anche a volume +0,3% , nonostante tutto ciò che si dica dal punto di vista alimentare e salutista sugli affettati, con il peso variabile più performante del peso imposto.

Nel peso imposto continuano a guadagnarsi spazio i preaffettati in vaschetta, il cui prezzo medio secondo Circana viaggia quasi sui 24 euro al kg a fronte dei 17,23 euro al kg del peso variabile, e pertanto con un differenziale di prezzo di quasi il 50%. I motivi sono da ricondursi al servizio, alla maggiore durabilità e conservazione del prodotto, alla maggiore libertà di consumo rispetto all’acquisto, oltre all’interpretazione della crescente richiesta di riduzione delle porzioni. E così i salumi si vendono al pezzo con confezioni in vaschetta da 80 grammi di prodotto.

A fronte dei 100 grammi di acquisto medio degli affettati al banco, è il modo per rendere più competitiva la battuta di cassa delle vaschette a peso imposto. È la shrinkflation, il fenomeno di riduzione della quantità contenute a parità di prezzo, applicabile solo alle vendite al pezzo. La riduzione delle quantità è scelta per intercettare le maggiori sensibilità in materia di riduzione dello spreco alimentare, ma anche di nuove abitudini di consumo.

I salumi snack infatti continuano a crescere: nell’ultimo anno sono cresciuti del 31% a valore e oggi valgono 1,5% del mercato.

In tutto questo le confezioni giocano un ruolo fondamentale nella segmentazione di prodotti, spostando sempre più sul confezionato il consumo su referenze più valoriali. È così per il mercato della pasta in cui Barilla ha segmentato la propria offerta per provenienza delle materie prime, tipologie di produzione e packaging: confezioni blue classico per il prodotto tradizionale, azzurro per i prodotti con grano italiano, aranciato per i prodotti integrali, bordeaux per i prodotti trafilati in bronzo, azzurro chiaro per il senza glutine, fino al beige chiaro per i legumotti.

Che ne consegue? Prezzi di posizionamento, completamente diversi con differenziali significativi: si parte da 1,79 euro al kg per gli spaghetti tradizionali, 2,9 per quelli trafilati al bronzo, 3,38 per gli integrali, 4,9 per quelli senza glutine fino ai 15,56 euro al kg dei legumotti, ma per onestà quella non è pasta.

Le confezioni quindi sono utili nello spostare l’acquisto dal peso variabile a quello imposto, dal chilo al pezzo. Ne giova la modalità di consumo, la soddisfazione del cliente e la marginalità delle aziende. Che la strada sia questa lo dimostra il continuo procedere di quote di prodotti segmentati e con confezioni dedicate.

Lo si può fare in ortofrutta? Le confezioni innovative in carta e cartone sono qua apposta.

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