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È il momento di scelte dolorose, ma inevitabili

Nella tempesta perfetta il retail si deve prendere maggiore responsabilità per interpretare e guidare il momento verso scenari che abbiano il rispetto ambientale in cima alle priorità. Lo chiedono i consumatori sempre più attenti nelle dinamiche di scelta di acquisto e comportamentale ai valori etici, sociali ed emotivi, nonostante tutto. Questo ciò che vede dal suo podio Albino Russo – Direttore Generale di ANCC-Coop e curatore del rapporto COOP

Capita spesso in questi tempi di interrogarsi su ciò che ci aspetterà per il futuro e di tentare di trovare elementi convincenti che lo possano rappresentare con maggiore dettaglio per dissipare il senso contingente di incertezza. Questo in un quadro politico internazionale che si complica, che ha effetti tremendi su quello energetico ed economico, poi in dimensioni di scala progressivamente ridotte via via fino al proprio contesto di riferimento. Lo si cerca di fare collettando e pesando per competenza le diverse fonti che sul tema si cimentano. Se il piano di analisi lo si riferisce al largo consumo alimentare allora l’annuale Rapporto Coop, con le sue sempre più frequenti instant survey, è certamente un utile barometro a cui affidarsi, così come il suo curatore, Albino Russo, un abile lettore. Salentino con studi in Emilia nonché direttore generale dell’ANCC-COOP (Associazione Nazionale delle Cooperative di Consumatori-COOP).

Studente fuori sede, come tanti ragazzi del Sud…

Ho studiato a Modena. Quando sono partito io negli anni 80 il Salento era un posto periferico, a tratti chiuso, noioso e triste. Non con la dinamicità, la capacità di attrazione e la centralità di oggi. Veniva voglia di andare via. Per me era un posto stretto. Il modo per andare via era fare il militare o l’Università fuori. A me, che poi ho fatto l’obiettore di coscienza perché delle armi non ne volevo sentire parlare, è rimasta la seconda alternativa. E così convinsi mio padre, io che sono nato in una famiglia normale da madre insegnante e padre funzionario, in questa che per loro era una scelta di sacrificio. Mi vietò la grande città, troppe distrazioni disse, e mi propose Modena. Io non ne sapevo granché, la collocavo tra il Friuli e il Piemonte in un Nord Italia generico. Ho trovato un’ottima facoltà di Economia che mi ha dato un’ottima formazione. Sono arrivato nel 1987 e ci sono rimasto per 11 anni. Mi sono trovato molto bene, a Modena, ho imparato tante cose tra cui la sua civiltà. Dopo Modena Bologna, in cui è iniziata un’altra stagione, ho iniziato a lavorare e così ad essere più indipendente.

A Bologna in Nomisma ad occuparti di agroalimentare, lo stesso percorso di un altro salentino famoso come Paolo De Castro, e da lì le Coop di consumo: come sono avvenuti questi salti?

Come spesso accade nella vita, per caso e non solo per scelta. Un ex compagno di studi che lavorava in Nomisma mi disse che stavano cercando qualcuno per riclassificare 150 bilanci di aziende agroalimentari, cercavano un economista. Io stavo finendo il servizio civile. E così iniziai, prima con contratti di qualche mese e poi in maniera sempre più strutturata. Lì conobbi De Castro che credette in me, aveva una preferenza per i fuori sede, a dir suo erano più determinati, stavano meno nell’agio e si accontentavano di qualche soldo in meno. Mi sono occupato dei temi industriali e poi via via della parte bassa della filiera alimentare, quindi industria, retail e consumi. Allora in Nomisma la metà erano economisti agrari e l’altra metà economisti industriali, era l’ambito naturale per me che ho fatto studi economici.

Dopo Bologna, Roma?

In Nomisma ho avuto tutto il tempo di assumere responsabilità crescenti fino a diventare, con Riccardo Deserti che ai tempi era direttore generale, responsabile del gruppo di lavoro. Io sono dell’idea che entro massimo i 40 anni devi decidere definitivamente cosa fare da grande. Le strade potevano essere dedicarmi con totale impegno alla carriera universitaria, ma come sappiamo occorre avere tanta pazienza e dover dire molti “grazie”, o in alternativa rimanere nella consulenza o dare una mano alla politica. Era la seconda occasione in cui Paolo De Castro avrebbe fatto il ministro e ci fu l’opportunità di seguirlo a Roma come capo della sua segreteria tecnica. Da qualche tempo per motivi affettivi la tratta Bologna Roma e ritorno durante i week end la percorrevo da un pò, e cominciava ad essere interesse stabilizzarsi se non altro per godere dei risparmi sui biglietti ferroviari. E tra i due chi viveva a Roma aveva meno voglia di me di spostarsi a Bologna. Quindi per me Roma era una possibilità. Ma tra tutte scelsi l’opportunità aziendale in ANNC-COOP prima di tutto perché fondamentalmente ero alla ricerca di una sfida del genere, poi anche perché era a Roma.

Una lunga trafila, o reciproco interesse?

Il caso aiuta, sempre, a volte in maniera strana e bizzarra. In uno di quei famosi weekend romani ricordo che ero sceso di casa a buttare il pattume. Davanti al cassonetto incontro uno dei nostri referenti che lavorava in Coop. Una conoscenza superficiale innaffiata da incontri annuali o poco più. “Beh, che ci fai qua?” ricordo mi chiese con aria stupita. E da lì la mia idea di stabilizzarmi a Roma e l’indicazione da lui che in ANCC-COOP stavano cercando una figura che poteva combaciare con le mie competenze. Ne parlai con Vincenzo Tassinari, allora presidente di Coop, e così fui uno dei pochi di Coop che dall’Emilia sono arrivati a Roma.

Dicevi alla ricerca di un’esperienza aziendale…

La definisco un’organizzazione bicefala, da una parte le attività istituzionali associative: pubblic affair, advocacy, contratto di lavoro, lobby, di fatto il classico mestiere associativo. Dall’altro facciamo cose in più vicine ad una direzione aziendale nazionale: sviluppiamo attività di sostenibilità e campagne valoriali e con Coop coordiniamo le loro strategie commerciali. Siamo un’associazione che aggrega aziende tra loro non in competizione che condividono pezzi importanti del business, a partire dal brand. È un affidamento reciproco per risolvere i problemi che spesso richiedono approcci coordinati.

Oggi il tema dello sviluppo di temi valoriali è una priorità per tanti…

Occorre fare dei distinguo ma una cosa è certa: domani se vuoi essere vincente devi essere sostenibile. Se non fai i conti a casa e non ti poni in maniera responsabile sul riscaldamento climatico rischi di uscire dall’orbita delle aziende competitive poiché è sui temi valoriali e reputazionali che si giocherà la partita. In una battuta forse tra 10 anni se non ti misuri su questi temi ti tratteranno come le aziende collaborazioniste del nazismo. Al netto di questa infausta guerra all’orizzonte, gli italiani sanno che nel lungo periodo abbiamo un problema enorme sulla sostenibilità, anche più della guerra che si spera si risolva presto. Ieri mia zia di 85 anni mi ha spiegato che porterà il letto in salotto per l’inverno. Le consentirà di chiudere il termosifone in camera da letto e di scaldare meno camere. Gli italiani questa gestione ce l’hanno, non sanno gestire la siccità, la grandine, le alluvioni ma sui comportamenti quotidiani per ridurre il riscaldamento climatico ci ragionano.

Dice questo il rapporto Coop?

Dice che la preoccupazione di fare qualcosa è ormai presente e nel loro vissuto quotidiano cercano e comprano la confezione sostenibile spedendo anche qualcosa in più. Questo gli italiani ce l’hanno in testa. Non c’è dubbio. Viviamo in un paese fragile dal punto di vista ambientale. Occorre ricordare però che riusciamo ad essere sostenibili quando si combina con possibilità, salute e risparmio. Infatti compriamo sostenibile quando ha effetto percepito sulla salute e riteniamo che un ruolo importante in questo ce l’abbiano le istituzioni pubbliche e le imprese che devono offrire soluzioni. Sono convinto che a livello nazionale se non dimostri di essere sostenibile tra 10 anni qualcuno te ne chiederà conto e non si fiderà di te. Oltre al dovere morale è un dovere pianificazione di lungo termine specie per un’azienda cooperativa che non deve massimizzare il proprio profitto ma quello dei soci, inteso come benessere quindi anche ambientale. Rendere il mondo un posto migliore è l’ambizione di ogni cooperatore, è naturale pensare alla comunità. Questo si declina in una mission ispirata a offrire cibo sicuro, buono e sostenibile. Dal punto di vista delle imprese sui temi sulla sostenibilità ambientale però non vedo luce in fondo al tunnel. Sostenibilità non è un pranzo di gala ma lacrime e sangue dove si lasciano giù margini se li hai e se non li hai cominci a perdere. Ma a mio parere in entrambi i casi non sono soldi persi ma investiti. L’alternativa è perdere molto di più dopo e in maniera risolutiva.

Che cos’è la vera sostenibilità?

Dal punto di vista concettuale l’Agenda 2030 dell’ONU è una agenda tassonomicamente completa, tanto che sembra – usando le parole del mio Presidente Marco Pedroni – il manifesto di un paese socialista del ‘900 sull’ambiente. Ha un approccio olistico che però non indica la scala delle priorità e questo consente di fatto a tutti di trovare spazio, incasellarsi tra i 17 goals e i 100 obiettivi e potersi definire, ognuno a proprio modo, sostenibile. Dal mio punto di vista, per il senso di urgenza maggiore che sento, sostenibilità è riequilibrio delle divaricazioni sociali. In questo l’Italia vive un momento drammatico in cui la classe media perde pezzi e scivola verso indigenza e disagio e si polarizzano verso l’alto le disponibilità maggiori. Ma poi il vero tema è quello climatico.

Se queste sono le priorità come occorre muoversi?

Con piani di lungo periodo e orizzonti ben più lunghi di una legislatura in cui far lavorare i tecnici giusti. Servono 20 anni e la condivisione dell’approccio a livello internazionale. L’impossibilità o l’inutilità di poter fare da soli non deve però essere un alibi, ma uno stimolo ad essere i primi promotori e divulgatori della necessità di questo cambiamento. Da qui nascono le discussioni interne ma anche con i concorrenti per scegliere obiettivi alla nostra portata: meno plastica, riduzione del consumo di acqua, prodotti italiani, condizioni di lavoro etico, solo per fare qualche esempio, ma non basta. Il problema va visto nella sua interezza tenendo conto delle diverse sfumature. Per esempio c’è una enorme differenza di approccio tra essere carbon neutral e essere net Zero. Nel primo caso poco si cambia, lo stesso si emette ma lo si compensa da un’altra parte, nel secondo si mira ad azzerare le proprie emissioni. Ma questi sono processi non applicabili linearmente ai propri settori. Un consto se sei una software house, un conto se sposti beni di consumo alimentare per l’Italia e li conservi in frigo refrigerati in vendita. Ecco perché la strada è lunga e in salita

Sostenibilità, hai parlato di lacrime e sangue: nella pratica ci sono precedenti scelte industriali che risultano essere terribili barriere all’uscita?

La risposta non può essere qui e oggi. Non è possibile ribaltare processi, scelte e procedure senza dimenticarsi del conto economico. Bisogna tenere assieme tutto, non è tutto fluido e non combacia tutto alla perfezione, anzi. Quello che sta succedendo con l’energia stimiamo che tra il 2022 e il 2023 avrà impatti enormi sulla capitalizzazione del retail. Mi occupo di retail alimentare da 30 anni, una situazione del genere non me la ricordo. Il prezzo di acquisto della merce è cresciuto di 20 punti in 12 mesi, se questi aumenti arriveranno al consumatore, lui ridurrà drasticamente i consumi. Dobbiamo gestire il breve mentre gestiamo il lungo, e per gestire il lungo prima di tutto abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale che ci consenta di scrivere il futuro con un nuovo filtro strategico. Questa congiuntura farà selezione.

Quindi c’è tempo meno tempo per l’innovazione o ci vuole più coraggio?

Concordo con te che per vincere occorre essere innovativi, ma ora è il tempo di fare scelte. Significa che sei costretto a rinviare anche parte del tuo disegno perché non è economicamente sostenibile. Nel secondo trimestre 2022 gli acquisti a volume in GDO sono calati del 5,5% rispetto all’anno precedente, dato che si potrebbe dire negativo ma non drammatico. Io mi limito a sottolineare che in Italia non c’è mai stata una riduzione neanche di un punto. L’ultimo dato disponibile, dell’ultima settimana di settembre, ha ancora il segno meno a volume: -2,5% i super e il discount -6%. Per capirci di più dobbiamo aspettare i dati di ottobre e di metà novembre. Se poi leggi la stampa internazionale, secondo The Guardian la crisi sociale sta arrivando e inciderà sugli acquisti, anche alimentari e di prima necessità. La priorità è la tenuta sociale.

Da tempo sei curatore del Rapporto Coop che descrive i consumi. Quali sono i tre driver di sviluppo della distribuzione moderna in Italia per interpretarli al meglio?

All’innovazione non puoi rinunciare, ma deve essere sostenibile. Una delle cose che più impressiona di questo business è che su 100 euro alla cassa quello che resta al retail è 1 euro. Quindi non puoi permetterti di sbagliare se innovi, perché se cambi e sbagli mandi all’aria il conto economico. Ma di innovazione ce n’è drammaticamente bisogno in un business che assomiglia a se stesso da 30 anni. Poi certamente sostenibilità. Serviamo 6 milioni di persone e siamo un touch point naturale con la comunità. Abbiamo un ruolo di leadership e quindi una responsabilità maggiore nei confronti delle filiere. Credo per questo che occorra più consapevolezza del proprio ruolo per orientare le catene locali resilienti e governare processi virtuosi di filiera.

Nel rapporto si parla del sentiment dei consumatori. Io che sono appassionato di teatro ho visto di recente uno spettacolo di Filippo Nigro – Le cose per cui vale la pena vivere. La storia evolutiva di un uomo che scrive la sua lista partendo da 1 – il gelato – per arrivare ad un milione, dalle più piccole a quelle più complesse. Per gli italiani e per te?

Per gli italiani certamente la salute, poi amore e affetti. Ci sono sentimenti e valori molto caldi che prevalgono su rancori e paure. Essendo sempre stato col cuore a sinistra ho vissuto l’evoluzione di una ideologia, la generazione prima della mia aveva l’ambizione di migliorare la comunità, mentre la mia di accrescere la disponibilità per potersela permettere, quindi anche la ricerca del successo professionale conta. Prima benessere e amore erano parole taciute, ora non né più così. Dopo la salute c’è l’amore, attenzione, più per gli uomini e che per le donne. Tutto questo ci racconta di un Paese che si sta spogliando di sovrastrutture. Al terzo posto temi ambientali e sociali intesi come benessere di contesto. Se ha i soldi meglio certamente, ma il contesto oggi sta prendendo un valore crescente come territorio, ambiente, vicinanza agli affetti. Se il contesto è questo il clima è più sereno.

Nell’ultimo rapporto Coop a fronte di un’inflazione che monta la spesa nel carrello cresce meno grazie alla tenuta della GDO per non perdere volumi. Ma tutte le filiere stanno facendo lo stesso. Nella carta la materia prima cresce dell’80% ma gli imballaggi sono cresciuti del 40%. Non credi che in parte il lamento sia soffio sulla speculazione?

Certo è così. La serie storica delle materie prime alimentari della FAO degli ultimi dieci anni ha un andamento a sega, crescite repentine seguite da cadute vertiginose. 10 anni fa i prezzi delle materie prime sono crollati, ma i prezzi dell’impresa alimentare non sono crollati. I prezzi al consumo seguono questi trend con un delay di 12 mesi ed in maniera più morbida, ma credo che da questi prezzi non torneremo completamente indietro.

Si parlava di teatro. Una comunicazione in punto vendita che giochi su musica, racconto e sorpresa come la vedi?

Di marketing in punto vendita non so molto. Sono convinto e certo che dovremmo costruire un punto vendita accogliente. In realtà al consumatore piace fare la spesa, ma svolge un’attività necessaria. Cerca un posto efficiente ed efficace e dove trovare anche la relazione umana. Una cassiera che sorride vale molto. Al contrario il discount spopola pur non essendo empatico e teatrale, non solo perché ha i prezzi bassi ma perché mette assieme una linearità del processo di acquisto semplice. Nel carrello medio della spesa finiscono 15 prodotti. In un supermercato medio ci sono 5.000 referenza tra cui cercare e scegliere il preferito, in un discount molto meno. Fare la spesa è e deve rimanere un piacere, vai sotto se la complichi e la trasformi quindi in fatica. Se risparmi anche solo 1 ora la puoi dedicare ai figli. Ti devi divertire ma la spesa deve essere semplice. Poi devi intrattenere e sperimentare, ma senza perdere linearità. Questo oggi è il grande limite delle grandi superfici, non vai perché devi investire troppo tempo e impegno, poi se vivi in due vai nel discount sotto casa.

Si parlava di tempo e affetti. L’ho colto in un momento in cui era tornato nel suo Salento a proposito di qualità della vita, centralità di valori e come perseguirli.  Per il resto ci sarà tempo.

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