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La cerasicoltura sarà tutta coperta. V(V)alter Monari, un pozzo di sapienza

Valter Monari

Dalla storia e dalla tradizione alle prospettive della cerasicoltura di Vignola in provincia di Modena con chi alla conoscenza del campo affianca la comprensione delle evoluzioni del mercato e la sensibilità per capire e continuare a sviluppare. Per questo sarà con noi a bordo!

La siccità in campagna è sempre stata temuta e combattuta. L’agricoltura intensiva la teme ancora di più. Lo testimonia quanto la siccità stia facendo paura per i prossimi mesi a causa della ridottissima piovosità dell’inverno appena trascorso. Siamo per questo da sempre alla ricerca dell’acqua, di più acqua, di un suo uso più preciso ed efficace. Il Canale Emiliano Romagnolo è un esempio di visione, di anticipazione di un potenziale problema futuro, fonte di acqua che ha garantito la fertilità a 80.000 ettari di superficie irrigata da oltre 70 anni. 135 km dal Cavo Napoleonico, tra Reno e Po realizzato per salvare Bologna dalle esondazioni del Reno, in località Sant’Agostino al confine tra le province di Ferrara e Bologna, giù fino a Rimini passando tutta la Romagna.
Un’opera imponente, dal 1955 trent’anni di lavori, oggi strategica, che si stima abbia consentito di aumentare la produzione lorda vendibile dell’area di oltre 350 milioni di euro nelle annate più siccitose. Non solo, anche bacino determinate nel consumo domestico: vale dieci volte la capacità della diga di Ridracoli, principale fonte d’acqua della Romagna.

Per questo l’acqua nelle campagne è stata sempre ritenuta vitale. La sua ricerca aveva un’aurea paranormale. Ricordo da bambino che quando si doveva fare un nuovo pozzo ci si affidava al rabdomante per capire il punto giusto in cui scavare. Lui si armava del fido strumento di rilevazione, un ramo di legno flessibile a Y a doppia punta che impugnava per le due punte lasciando libera la terza e cominciava a setacciare l’area in cui si voleva fare il pozzo. Se ad un tratto la parte della Y lasciata libera cominciava a beccheggiare, ecco quello era il punto in cui scavare, quello idricamente più generoso.

In questa chiacchierata, senza cercarlo, ho avuto la sensazione di trovare un pozzo pieno d’acqua e di sapienza, una vena idrica enorme sulla coltivazione della ciliegia: V(V)alter Monari, direttore del Consorzio della Ciliegia di Vignola. Uno che sa quasi tutto della produzione delle ciliegie ma che mi ha detto subito “Sì” ad un progetto di comunicazione un po’ strano perché, proprio nella sua stranezza, ne ha compreso le potenzialità.

Ciao V(V)alter, momento propizio per far due chiacchiere? 

Assolutamente sìi. Sono tornato ora in ufficio. Ero in campo con Luigi Bianchi di Cesena Fiera. Stiamo organizzando una sorpresa per la conferenza stampa di lancio di Macfrut 2022 che ci sarà il 14 aprile. La ciliegia è il frutto partner di quest’anno della fiera di Rimini. Peccato che Luigi non abbia potuto assaggiare la torta Barozzi, dolce tipico di Vignola con caffè e cioccolato. Esigenze di dieta, ma non sa cosa si è perso. L’ha inventata, ha anche il brevetto, Gollini della omonima pasticceria che l’ha intitolata così in omaggio ad un noto personaggio del territorio del tempo che fu.

V(V)alter, una curiosità, così comincio anche a scriverlo bene: il tuo nome con V o con la W? 

Entrambi i nomi sono giusti perché ho avuto due vite fiscali. Sono stato battezzato con la W ma quando l’anagrafe si è informatizzata e digitalizzata mi hanno mandato un nuovo codice fiscale con la V. Dopo si è trattato di ricongiungere gli anni fiscali, e non è stato immediato. Io però mi firmo ancora con la W anche se formalmente il mio nome inizia con la V.

A Vignola da sempre? 

No, sono di Guiglia ma sono arrivato a Vignola nei primi anni ’80. Facevo il tecnico di campagna per l’allora cooperativa Gragnani poi divenuta Solemilia e seguire prima Intesa Agrintesa poi all’interno di quei progetti di aggregazione che si sono conclusi nei primi anni 2000. Quando qui si producevano 150-200 mila quintali di ciliegie. Tutte varietà autoctone, con piante alte 15 metri e una vita di decenni. Questa era la tradizione, più forte anche della sicurezza. Era pericoloso andare a raccogliere così in alto con le scale, e a volte, qualcuno cadeva.
Il ciliegio non si potava, le piante facevano tanto legno, invecchiavano e il prodotto era di scarsa qualità. Per contro Vignola era un richiamo per tanti giovani dal resto dell’Italia a fare la stagione a raccogliere ciliegie. L’attenzione per la pianta era talmente alta che chi “spollonava”, e cioè rompeva la parte finale vegetale della pianta, non veniva più richiamato. È l’altra faccia della tradizione, si fatica a volte a fare innovazione. Infatti io come tecnico di campagna ottenevo maggiori risultati nelle aziende che non erano condotte direttamente dal proprietario, il capotecnico si fidava di me, mentre incontravo qualche resistenza con l’agricoltore che faceva come sempre si era fatto.

Potare quali benefici evidenti porta? 

Produzione costante tutti gli anni senza particolari oscillazioni. In Francia, Spagna e Romania hanno iniziato molto prima di noi a farlo. I primi che hanno iniziato hanno guadagnato di più da subito infatti in 20 anni il paesaggio è completamente cambiato e sono spariti gli impianti monumentali, sono apparsi i primi impianti antipioggia e oggi abbiamo il 30% della produzione coperta sotto rete. Noi ci siamo quando gli altri non ci sono e poi così il prodotto resiste di più. Se hai un prodotto bagnato nel cestino è alto il rischio che si rovini tutto anche se hai la minima spaccatura. Invece sotto copertura raccogliendo sempre asciutto il prodotto ha una vita più lunga a punto vendita.

C’è un’evoluzione nella tecnologia di copertura in campo? 

Io ci credo fortemente. Il contesto ci porta a cogliere nuove necessità. Oltre che ripararsi dai danni dalla pioggia il mercato ci chiede di sviluppare produzioni a basso impatto ambientale e a numero minimo di trattamenti. L’anno scorso abbiamo realizzato il primo impianto di 5.000 metri multifunzionale che difende le produzioni sia dalla pioggia che dagli insetti. Oltre alla copertura superiore, in rete a doppio strato in quel caso, c’è anche quella laterale. L’impianto di fatto è chiuso completamente con una precamera di ingresso per l’ingresso di mezzi e degli operatori. Questo ci dovrebbe consentire di anticipare il fermo dei trattamenti a maggio e non farne neanche uno a giugno, nel periodo della maturazione.

Immagino costi di impianto molto diversi… 

Decisamente diversi. Con sesti di impianto 5 metri per 3,5 metri e 600 piante per ettaro i costi dell’impianto di copertura pioggia possono arrivare ai 75.000 euro all’ettaro. Con la copertura laterale si superano i 100.000 euro.. Attenzione però a non fermarsi alla comparazione dei costi che ci porterebbe fuori strada, questa è una comparazione tra idee di agricoltura. Oggi abbiamo bisogno di tanta protezione per le nostre colture, specie per la ciliegia dove anche la semplice acqua fa danni. Se piove nel momento sbagliato, e succede sempre più frequentemente, il prodotto si spacca e oltre ad essere meno gradevole esteticamente crolla il periodo di conservazione e commercializzazione. A questo si aggiunge il rispetto verso il contesto. La copertura laterale protegge dai parassiti.
Così è richiesta meno chimica di sintesi con benefici per la salute degli operatori, meno residualità sui frutti e meno impatti sull’ambiente. Allora il tema è come proteggere le proprie produzioni. Riuscire a farlo significa avere costanza di produzione anche in condizioni avverse, non perdere clienti e mercati, poi difficili da recuperare, e, con meno prodotto sul mercato, poter disporre di prezzi pure più alti.

Aprire le reti, un’attenzione al vento da prodiere in regata che scruta il mare e lo osserva per capire i minimi cambiamenti… 

La valutazione per aprire e chiudere le reti degli impianti è quasi giornaliera. Gli impianti di copertura non si aprono troppo presto perché fino a Pasqua c’è il rischio neve e se gli impianti fossero aperti con il peso della neve verrebbe giù tutto. Non solo, se si stendono le reti anche lateralmente non entrano le api per impollinare. Tendenzialmente vorremmo fare l’ultimo trattamento verso fine aprile alla chiusura dell’impianto, poi stendiamo tutte le reti e copriamo il ceraseto.

Così è possibile pianificare? 

Decisamente di più rispetto alle colture in pieno campo. Con 120 q.li di raccolta la media del ritorno sull’investimento è attorno ai 4 anni. Nel 1996 una delle nostre aziende, con il nostro aiuto, ha fatto il primo impianto da 3.000 metri. Negli anni successivi la stessa azienda ha fatto altri 6 ettari. Credo che questa sia la prova provata dei benefici ottenuti, prima di tutto economici.

E programmare la presenza sul mercato… 

I trentini vennero giù ad imparare da noi. Poi occorre anche saper gestire e pianificare. Oggi Melinda ha 20.000 quintali tutti sotto copertura e una selezionatrice di ultima generazione. Si sono specializzate nelle varietà medio tardive quando sul mercato ci sono meno concorrenti, quasi solo loro. Qualità e poca offerta, il risultato è prezzi molto remunerativi per gli agricoltori. Se non pianifichi e non proteggi rischi di incappare in annate come quella appena trascorsa in Puglia dove all’agricoltore forse sono arrivati 80 centesimi al kg con un prezzo del loro prodotto attorno a 2,5 euro mentre noi eravamo quasi vicini ai 4 euro al mezzo chilo in punto vendita, ma alla fine al produttore gli abbiamo dato da 3,5 a 4 euro al kg.

Nonostante questo la produzione di Vignola cala invece che crescere… 

Il Consorzio produce circa 70.000 quintali di ciliegie all’anno, il 70% a marchio IGP. L’area produttiva è su 28 comuni collinari nelle province di Bologna e Modena. L’età media dei conduttori è sopra i 60 anni. Qui quindi manca l’uomo, non c’è ricambio generazionale, o meglio l’uomo qui ha avuto altre alternative tra ceramica e terziario. Non è come in Trentino dove han piantato meli dove noi non facciamo andare neanche le pecore.

E l’uomo fa la differenza… Sui prodotti delicati soprattutto. Per esempio nel caso delle susine. Sulla susina di alta qualità riusciamo a dare all’agricoltore oltre 1/1,5 euro al kg per il prodotto raccolto e lavorato in campagna nell’imballaggio marchiato in cartone e mai più toccato perché anche la raccolta fa la differenza. Chi è capace la raccoglie con due dita con una dolcezza di tocco che non lascia traccia su un prodotto super sensibile.
Il nostro mercato di riferimento è il dettaglio specializzato di alta qualità del Nnord Italia. Abbiamo rese magari che mediamente non superano i 250 quintali per ettaro, ma prezzi tre volte superiori a chi fa 500 quintali di resa all’ettaro, raccoglie con meno delicatezza e fa calibri 35/40. Con questo prodotto venduto in Inghilterra non si riescono a dare più di 0,30/0,40 euro al kg al produttore. È la dimostrazione che è il prodotto che fa il prezzo.  

Si diceva che il CER ha garantito acqua alla Romagna per 70 anni. Merito di una politica che aveva visione. Oggi dii quale politica abbiamo bisogno? 

Di quella che ascolta e sa scegliere con competenza. Abbiamo presentato il progetto delle prove sperimentali sui cereseti a Alessio Mammi, l’assessore all’agricoltura dell’Emilia Romagna, è lungimirante e lo ringrazio perché si è adoperato per finanziare l’iniziativa. L’obiettivo in prospettiva è attingere ai fondi del PSR per aggiornare e proteggere gli impianti del Consorzio. È lo strumento per preservare un’eccellenza produttiva del territorio, fare prodotto di qualità e al contempo dare reddito all’agricoltura.

Monari ha scoperto la ciliegia o viceversa? 

Non saprei, io credo di aver avuto tanta fortuna perchè il lavoro mi piace, infatti continuo ancora anche se sono in pensione da 3 anni. Dal lunedì al venerdì per me non è mai cambiato niente. Mi alzo con le idee e l’impegno come se dovessi continuare altri 20 anni. Quando facevo il tecnico la ciliegia era l’unico frutto che avevo nella mia azienda e vedevo che le piante alte e con tanti anni avevano andamenti produttivi altalenanti, sia in quantità che qualità. Il ciliegio ha un equilibrio precario, se poti moltoi e non fa produzione la squilibri a legno, se la poti poco produci molto ma con pezzatura di prodotto piccola.
E nel tempo ha fatto passi da gigante. La vera rivoluzione è stata l’introduzione dell’autofertilità nel ciliegio, ottenuta dalla stazione sperimentale di Summerland in British Columbia. Qui alla fine degli anni ‘80 c’erano 7.000 selezione allo studio. Oggi non si parla di come potare il ciliegio, ma di potare in base alle varietà di ciliegio che hai.

La cerasicoltura quando è arrivata Vignola? 

Ci sono tracce già alla fine dell’800 e poi è cresciuta in maniera significativa nel secondo dopoguerra, l’estensione di superficie coltivata ha toccato il suo massimo negli anni Settanta poi dagli anni Ottanta ha iniziato a ridursi. Poi nel tempo è cambiata molto, ricordo che c’erano piante che avevano oltre 80 anni, piantate tra le due guerre, che producevano ciascuna 5 quintali e richiedevano cinque persone a raccogliere. Oggi invece in spalliera si passa col carro raccolta e le piante producono 40/50 chilogrammi ognuna, con una capacità di raccolta al giorno a parità di squadra che è più che raddoppiata.

Quanto vale la cerasicoltura in Italia? 

Ci sono tanti impianti sulla carta, specie al sud, la cui disponibilità della produzione dipende di anno in anno dall’impianto in sé e dagli andamenti di mercato. Gli esperti parlano di circa 1 milione di quintali, ma se volessimo avere una stima precisa dovremmo capire quanti sono gli impianti irrigati specie al Sud: l’irrigazione è indicatore di un approccio strutturato e continuativo. Poi occorre considerare il sesto di impianto e la tipologia di allevamento della zona da cui si ricava una resa media per ettaro e così si ottiene una stima discreta della produzione commercializzabile. In assenza di questi parametri si fatica ad avere un ordine di grandezza corretto. Credo che per questo le produzioni del Sud siano sovrastimate.

Per un prodotto la cui priorità è la bontà, l’imballaggio che funzione ha? 

Renderlo visibile e riconoscibile, oltre chiaramente a trasportarlo e proteggerlo. Noi siamo stati tra i primi a scegliere il cartone. Il cartone è un materiale ergonomico, segna meno il prodotto e poi consente qualità di stampa elevatissime che si prestano ottimamente se si devono fare politiche di marca. Oltre al fatto che il legno sul mercato aveva tare mobili, anzi il bagnare il prodotto per renderlo più vivo aumentava il peso della cassetta.
Certo un grande vantaggio per il produttore che vendeva legno per ciliegie ma che il mercato cominciava a combattere. Per questo alla produzione ci sono state resistenze, ma la scelta è stata giusta, ha contribuito a far crescere la fiducia nei nostri confronti, ci siamo dimostrati più seri, oltre a credere nella promozione del nostro marchio. In questo senso non abbiamo mai avuto problemi con la tenuta del cartone, a parte una parentesi sfortunata quando invece che tenere alto il valore della cassa si risparmiò sul tipo di carta. Da allora cerchiamo solo fornitori affidabili che mettono la qualità al primo posto perché rimetterci in questo senso porta a rimetterci di più nel totale. Per questo, se investi in qualità, per la mia esperienza sono soldi che ti torneranno indietro.

E in prospettiva? 

Un imballaggio che incrementi le sue funzioni. Oggi con la tecnologia possiamo stampare sull’imballaggio link, QR code e tanti altri riferimenti digitali o informazioni. Credo che questa sia la strada giusta perché l’imballaggio diventi sempre più strumento di informazione e identificazione. Chi crede che la monocromia scelta dalla GDO faccia bene alla produzione ortofrutticola italiana si concentra sui costi e non sul valore dei prodotti, si dimentica di rendere visibile provenienza e tradizioni.

Se avessi continuato, la vena di informazioni, idee, progetti so che non si sarebbe esaurita. Per ora mi contengo e condivido con voi queste. Le altre gliele chiederò direttamente quando ballerà con noi!

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